“Giobbe” è una messa sotto accusa della modernità, un mondo al quale lo scrittore austriaco contrappone quello millenario della tradizione ebraica. Il tema di questo romanzo (del 1930) è anche il motivo centrale della narrativa di Roth: la tragica vicenda degli ebrei dell’ Europa centrale costretti ad emigrare in una «nuova diaspora» verso gli Stati Uniti, con dispersione della loro cultura. Mendel Singer, l’ ebreo del romanzo, è un maestro talmudico la cui vita è scandita da una ripetitiva quotidianità che Roth evoca attraverso un linguaggio ricco di iterazioni e di anafore. La ripetizione assicura stabilità alla vita di Mendel, al romanzo e all’ universo ebraico. Nella sua casa della Volinia russa, dove il sabbat si svolge secondo tradizione e dove la vita è ritmata dalle preghiere, la magia viene spezzata quando un medico scopre che Menuchim, l’ultimo figlio, è minorato. Da quel momento l’universo di Mendel si frantuma. E, come il biblico Giobbe, Mendel maledice il Signore: «È più benigno di Dio il diavolo». La riscoperta della benignità di Dio avviene attraverso il figlio che aveva abbandonato. Menuchim, infatti, superata la malattia, è diventato un compositore affermato e va ad esibirsi a New York. Al suo successo è affidato il riscatto presente in Giobbe. E questo riscatto è ciò che consente al vecchio Mendel, infine, di «riposarsi dal peso della felicità e dalla grandezza dei miracoli».