A immagini cupe e malinconiche, il poeta affianca i temi della bella giovinezza, della passione per la vita effimera, dell’amore. E tutto va a costituire una raccolta fortemente unitaria, nonostante la varietà degli argomenti e dei toni, che passano dal riso burlesco alla violenza dell’ironia, dagli accenti velenosi al lirismo.
François Villon (1431-1463), annoverato tra i massimi poeti francesi, è un rappresentante della tradizione poetica tardomedioevale che spicca per originalità, intensità delle emozioni e vividezza delle immagini. Nelle poesie, rappresenta il suo tempo e la Parigi dell’epoca con la forza brutale della sincerità, ed esprime con profonda partecipazione, e insieme con grande padronanza della lingua e dello stile, i sentimenti di un mondo in mutazione, popolato da un’umanità varia, fatta di ricchi potenti e ipocriti, borghesi avidi e senza scrupoli, donne peccaminose, e miserabili malfattori.
Ispiratore di poeti e cantanti, Fabrizio De Andrè gli si dichiara debitore della sua Ballada degli Impiccati, contenuta nell’album Tutti morimmo a stento del 1968, che in effetti ricorda alcuni aspetti dell’omonimo testo di Villon.
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